I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità parlano chiaro: l’ansia nella nostra società cresce a ritmi veloci. Per alcuni è la “malattia della modernità”. Già Freud, del resto, parlava di un Disagio della civiltà. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. L’ansia ha cambiato pelle. Non ha più a che fare, come per il padre della psicoanalisi, con le angosce che precedettero la seconda guerra mondiale. Nelle forme del disorientamento radicale, della paura di rimanere indietro, della perdita di legami affettivi e lavorativi, l’ansia è divenuta la cifra stessa della contemporaneità. Ma c’è qualcosa di più. Al di là della psicopatologia, l’ansia (e il panico, in particolare) è una situazione limite. Un incontro con il limite. D’improvviso ci sentiamo schiacciati, soffocati. Magari in un tunnel, in un autobus pieno o in mezzo alla folla. L’orizzonte − quella esperienza radicalmente umana che chiamiamo “orizzonte” − si restringe drammaticamente. Siamo sopraffatti da un’improvvisa e assurda paura della paura, da una sensazione di frammentazione, di dissoluzione, di morte. È l’incontro con il nulla. Un nulla senza nome che ci getta nella più cupa e ingiustificata disperazione. Perché ingiustificata? Perché nulla giustifica il panico. Infatti, il panico è causato dal nulla.
Sia chiaro, le conquiste mediche di oggi ci fanno ben sperare. Ma il panico non riguarda solo i pazienti. Riguarda tutti. Perché tutti siamo esposti al panico. Eppure, a dispetto di quanto si potrebbe credere, le esperienze del panico possono aiutarci a chiarire parti oscure della nostra vita. Non è un paradosso. Il panico è la nostra lotta contro Pan (da cui lo stesso termine deriva), figura mitologica terrifica e vitale che non ha mai accettato le restrizioni moralistico-razionali di una cultura moderna che ha dimenticato le proprie origini. Pan non è morto, come molti credono. È solo addormentato, pronto a risvegliarsi ogni volta che la natura e l’istinto vengono repressi.
Non bisogna farsi illusioni: il panico è costantemente presente nella nostra vita. Tutti dobbiamo farci i conti. Ritorna ogni volta che ci nascondiamo dietro il paravento di un agognato equilibrio. Ma la vita non è mai equilibrio. È piuttosto movimento, incognita, azzardo, opportunità. La paura e il rischio di vivere non sono croci da sopportare. Sono spiacevoli sensazioni che ci spingono verso la conoscenza. Chi guarda negli occhi la paura si eleva al di sopra della propria condizione. Naturalmente vi è un prezzo da pagare. Come tutte le cose importanti della vita. L’esperienza del panico non deve essere una sterile costrizione. Ma qualcosa che ci aiuti a dar vita a nuove versioni di noi stessi, per capire la nostra identità e, se possibile, reinventarci. Certo, è curioso e al tempo stesso intrigante che per capire noi stessi dobbiamo reinventarci. Ma questa è un’altra storia.
Photo: Kevin Carden